|
Loris Vedovato |
La Villa Farsetti
a Santa Maria di Sala presso Padova.
Influenze romane nell'ambito veneto
|
|
<1>
I legami con l’ambiente romano di un personaggio tra i più
interessanti della cultura illuministica veneziana hanno reso possibile
il sorgere in territorio veneto di una importante villa improntata
sui nuovi valori estetici e sulle idee che nella seconda metà
del Settecento si andavano maturando a Roma e che avrebbero portato
alla nascita di un nuovo stile, il 'neoclassico'. |
|
|
fig. 1 |
|
<2>
Filippo Farsetti, committente della villa, era di famiglia nobile
ed unico figlio del cavalier Antonfrancesco, il quale, assieme al
fratello monsignor Nicolò Maffeo, era pressoché l’unico
beneficiario dell’enorme fortuna formata dall’avo paterno
soprattutto nei luoghi d’origine della famiglia (Massa e Carrara)
e a Roma dove si era trasferito. Tra i vari immobili acquistati da
Antonfrancesco vi era anche l’estesa tenuta di Sala nel Padovano,
dove i nobili Contarini avevano realizzato nella seconda metà
del Cinquecento un pregevole complesso edilizio, ampliato nel secolo
seguente dallo spagnolo Agostino Fonseca con la costruzione di alcune
adiacenze, ed al cui posto Filippo realizzò la propria villa
(fig. 1). |
|
|
fig. 2 |
|
<3>
Negli studi il Farsetti ebbe come insegnante Carlo Lodoli, noto per
le idee innovatrici nel campo dell’architettura e per l’originalità
in genere del suo pensiero. Dal suo insegnamento egli acquisì
alcune qualità che avrebbero in seguito contraddistinto il
suo modo di pensare e di agire, e cioè uno spirito aperto,
libero, illuminato e generoso, doti che contraddistinsero anche altri
discepoli del Lodoli, come Andrea Memmo ed Angelo Querini. Egli rifiutò
le cariche pubbliche che ogni nobile veneziano era chiamato a ricoprire,
per essere libero di dedicarsi completamente ai propri interessi nel
campo delle scienze e delle arti e poter servire così a modo
suo la patria. Tale scelta lo costrinse tuttavia in un primo tempo
ad allontanarsi da Venezia, il che ebbe comunque per lui anche un
risvolto positivo, in quanto gli consentì di viaggiare per
l’Europa e soggiornare a lungo a Parigi le cui raffinatezze
avevano conquistato le principali città; quindi, in seguito,
a farsi abate, una condizione di comodo che lo esentava definitivamente
dagli obblighi verso il governo. |
|
|
fig. 3 |
|
<4>
I contatti con Roma sono invece da collegare principalmente con gli
interessi economici che egli aveva nella città. Con la morte
dello zio Maffeo, avvenuta nel 1741, egli aveva infatti ereditato,
assieme ai due cugini Daniele e Tommaso Giuseppe, un capitale enorme
costituito dalla secondogenitura, i cui beni erano in gran parte situati
a Roma. Il suo obiettivo era quello di entrare in possesso della secondogenitura
e di unirla alla ricca primogenitura che aveva ereditato alla morte
del padre, avvenuta nel 1733, liquidando i due cugini con una pensione
annua. Purtroppo la cosa gli riuscì soltanto in parte, in quanto
entrò in possesso soltanto della somma, comunque molto consistente,
di circa 96.000 scudi (dei 240.000 complessivi) e soltanto dopo una
dispendiosa causa che durò quasi trent’anni. La necessità
di recarsi a Roma, dove possedeva un palazzo a S. Silvestro al Quirinale,
per occuparsi principalmente di questo affare, hanno dato l’occasione
al Farsetti, da persona colta qual’era, di avere frequenti contatti
con diverse personalità di spicco del mondo culturale e del
potere, non solo romano, ma di tutta Europa. E’ verso la metà
del Settecento che Roma vive un momento di intenso fermento culturale,
dovuto alle nuove idee che si andavano maturando nel campo dell’arte,
legate ad un modo diverso di pensare e ad una nuova sensibilità
propri del razionalismo settecentesco. In un secolo infatti in cui
ogni aspetto della realtà veniva sottoposto all’esame
della ragione, l’arte non poteva sfuggire a tale controllo,
dovendo sottostare anch’essa a delle regole, le regole del bello.
|
|
|
fig. 4 |
|
<5>
La riscoperta del mondo classico è dovuta alla convinzione
affermata nei circoli letterari, negli artisti e nelle persone erudite
in genere, che queste regole erano già state scoperte ed applicate
molti secoli prima dagli artisti greci, le cui opere ed i cui principi
si erano diffusi in tutto il mondo romano antico. L’entusiasmo
che seguì a tale riscoperta coinvolse un po' tutti: letterati,
artisti, gli uomini eruditi in genere, contagiando anche il Farsetti
che aveva già dato alcuni anni prima prova del suo amore per
l’arte e del suo mecenatismo, sottoscrivendo la grande opera
degli Zanetti dedicata alle antiche sculture esistenti nelle collezioni
veneziane. Egli fece eseguire le copie in gesso delle principali sculture
non solo antiche ma anche di quegli artisti, dal rinascimento in poi,
che si erano tenuti all’insegnamento degli antichi, come Michelangelo,
Bernini, Giambologna, Duquesnoy; fece eseguire inoltre le copie dei
dipinti più significativi, soprattutto di Raffaello, definito
da Winckelmann il "dio degli artisti", e ad acquistare schizzi
e bozzetti originali, con il proposito di fondare a Venezia un’Accademia
di Disegno dove i giovani artisti potessero raggiungere la perfezione
nell’arte. [1] |
|
|
fig. 5 |
|
<6>
Il nuovo gusto influì anche sul carattere e sull’organizzazione
della villa che egli aveva in mente di realizzare nella tenuta di
Sala, il cui progetto, affidato al maggiore architetto allora operante
a Roma, il senese Paolo Posi, è da ritenere sia stato elaborato
principalmente durante il soggiorno romano del 1749 -1753. In questo
stesso periodo il cardinale Alessandro Albani, persona molto colta
e grande collezionista di reperti e opere d’arte antiche, mosso
anch’egli da una grande passione per il mondo classico, stava
realizzando la propria villa lungo la via Salara. A differenza delle
principali ville romane moderne, che pure erano ornate con gli antichi
reperti che comunemente ed in gran numero venivano alla luce durante
i lavori di scavo per la loro esecuzione, l’Albani aveva progettato
la propria in funzione della cospicua collezione di cui era già
in possesso, mirando a disporre ogni pezzo secondo la collocazione
e l’uso che poteva avere in origine. In definitiva egli voleva
ricreare la suggestione delle più celebri ville dell’antica
Roma e, come confermano i commenti concordi dei contemporanei, era
perfettamente riuscito in tale intento. Alcuni, come l’abate
Richard, paragonavano il nuovo palazzo al 'Laurentinum' di Plinio,
mentre altri, come lo Strocchi, affermavano che il complesso ricordava
da vicino le ville e gli orti di Lucullo, di Sallustio e di altri
consoli romani; lo stesso Albani venne chiamato l’Adriano del
suo secolo, per avere, come il celebre imperatore, ricostruito nella
sua villa i luoghi di un pellegrinaggio ideale (fig. 2). |
|
|
fig. 6 |
|
<7>
Alle lussuose ville dell’antica Roma, come quella di Adriano
a Tivoli, volle ispirarsi anche il Farsetti, come afferma Henrik Jansen,
nella prima edizione delle 'Lettres familières' di Winckelmann:
"M. l’abbé Farcetti vouloit que son jardin, d’une
grande étendue, représentât les débris
de l’habitation d’un empereur Romain, dans le style de
la villa Adrienne aux environs de Rome". [2]
Egli tentò, in gran parte riuscendovi, un’operazione
ancora più ambiziosa di quella intrapresa dall’Albani,
avendo una superficie a disposizione molto più ampia, pressoché
illimitata, ed anche maggiori disponibilità economiche. Egli
ha voluto evocare nella villa di S. Maria di Sala gli edifici dell’antica
Roma che attraverso i grandiosi resti allora esistenti, oppure le
descrizioni contenute nelle fonti letterarie, l’hanno maggiormente
suggestionato, come l’anfiteatro, il foro, il Campidoglio, la
naumachia, la piramide cestia, gli acquedotti, i templi, i palazzi.
In un secondo tempo il suo progetto diventò sempre più
ambizioso e fantastico, affidando alcuni progetti grandiosi e spettacolari
ad un altro architetto, il francese C.L. Clérisseau, il quale,
molto meglio del Posi, abilissimo e fantasioso, ma inevitabilmente
ancora legato ai modi espressivi della tradizione barocca, era sensibile
al nuovo gusto che valorizzava le lezioni dell’antichità.
Si tratta delle finte rovine di un circo romano, di una strada consolare
e di un ponte trionfale, i quali, per una serie di circostanze sfavorevoli
che vedremo, non furono purtroppo realizzati. |
|
|
fig. 7 |
|
<8>
Delle più celebri ville dell’antichità il Farsetti
ha voluto evocare anche gli splendidi e tanto decantati giardini,
mettendo in atto anche in ciò un’idea grandiosa ed originale,
quella cioè di concepirli come un unico grande 'orto botanico',
organizzando e distribuendo le diverse specie di piante con singolare
magnificenza e spettacolarità, tanto da venire considerato
il più grande e più bello d’Europa. [3]
La botanica era infatti, assieme all’arte, un’altra grande
passione del Farsetti, derivatagli dalla frequentazione degli amici
veneziani Franceso Patarol e Leonardo Sesler che volle come suoi collaboratori
nell’organizzare e dirigere il giardino di Sala. |
|
|
fig. 8 |
|
<9>
I grandi lavori per la realizzazione della villa ebbero inizio nel
1753, subito dopo cioè il ritorno del Farsetti da un lungo
periodo trascorso a Roma, e riguardarono la regolazione delle acque
con la formazione di canali e peschiere, la formazione dell’orto
botanico, di un orto da cucina e di un frutteto, di un boschetto di
alberi indigeni ed esotici (il 'bosco montan'), di alcuni giardini
e parterres, 'conserve' per i vasi di agrumi, 'cedrare' e 'stufe',
unite tra loro da graziosi padiglioni chiamati gli 'attacchi'. Successivamente,
e fino al 1766, furono realizzati altri edifici ed elementi importanti
del giardino, come nuove 'conserve' per gli agrumi ed i fiori in vaso,
una serra per i garofani (la 'fiorita'), nuove stufe (la 'nova' e
la 'novissima') per le piante esotiche più delicate, una stufa
per gli 'ananas', un secondo boschetto per gli alberi dell’America
settentrionale e delle Indie orientali (il 'bosco sempreverde'), il
giardino dinanzi al futuro palazzo; infine tutta la sistemazione dell’ampia
area a sud della strada Cavin di Sala, concepita come un’unica
grandiosa e spettacolare scenografia della quale facevano parte un
'anfiteatro', formato da un doppio ordine di tassi sagomati ad arco
e da gradinate in pietra, nel cui centro era stata eretta una copia
della 'colonna traiana'; un tempietto sopra una montagnola (il 'Campidoglio')
con ai piedi un laghetto di forma ovale (la 'naumachia'); un 'labirinto'
delimitato a sud da un rilevato ad arco con i resti del 'tempio di
Diana' e la 'selva' a lei dedicata (fig. 3). |
|
|
fig. 9 |
|
<10>
A fronte di tutte queste realizzazioni, le normali anche se ingenti
entrate del Farsetti non erano sufficienti, tanto che egli dovette
ricorrere a prestiti, come i 5.000 zecchini avuti nel 1764 da Francesco
Algarotti, tramite il di lui fratello Bonomo, di cui era stretto amico.
Soltanto nel 1769, al ritorno dall’ultimo soggiorno romano,
durato tre anni, durante il quale era riuscito ad entrare in possesso,
come si è detto, di una somma ingentissima, potè dare
inizio alla realizzazione del nuovo 'palazzo' e dell’edificio
di servizio (la 'foresteria') ad esso adiacente. |
|
|
fig. 10 |
|
<11>
Per comprendere meglio la genesi tipologica ed architettonica del
palazzo, che costituisce senza dubbio la più importante opera
del Posi, è necessario prendere in considerazione due suoi
progetti di case di campagna, non realizzati, che costituiscono molto
probabilmente le prime soluzioni per il palazzo di Sala e possono
riferirsi all’intenzione iniziale del Farsetti, quella cioè
di realizzare la propria villa a Padova [4].
I due progetti, l’uno conservato a Roma (fig. 4) e l’altro
a New York (fig. 5) presentano una caratteristica comune: una rotonda
centrale con ali; un motivo di fondo dell’architettura dei palazzi
barocchi, che troviamo anche nel palazzo di Sala e nel casino di villa
Albani, anche se elaborato, nei due casi, in modo completamente diverso.
Questo motivo fu in particolar modo sviluppato dal grande architetto
austriaco J. B. Fischer von Erlach nell’ideare i progetti di
alcuni palazzi o ville di delizie ('lustgebäude', 'gartengebäude',
'lustgartengebäude'), diffusi poi o attraverso stampe o tramite
la sua nota opera 'Historische Arkitektur', che servirono di modello
per molti architetti, compreso il Posi (fig. 6). In questi progetti
Fischer cercò di combinare la maniera francese (edifici sviluppati
in larghezza) con elementi italiani (tetti a terrazza con statue e
vasi), in modo da conferire all’edificio il massimo movimento
e varietà, avvicinandosi all’aspetto delle antiche ville
romane. [5] Una sala rotonda
illuminata dall’alto era inoltre l’ideale per un allestimento
museografico, considerato che l’intenzione del Farsetti era
quella di realizzare, come in effetti fece, nella parte centrale del
palazzo un "superbo museo", [6]
elemento quest’ultimo comune anche a villa Albani (che in realtà
era tutta un grande museo) e ad altre ville romane 'moderne'. A riprova
di ciò è da osservare che il Posi nell’occasione
di ammodernare il palazzo Colonna a Roma, usò proprio questo
motivo nella progettazione del nuovo braccio destinato a raccogliere
una collezione di statue e bassorilievi antichi e una collezione di
quadri del connestabile (fig. 7). |
|
|
fig. 11 |
|
<12>
Il progetto definitivo del palazzo di Sala fu invece quasi sicuramente
elaborato nei dettagli dall’architetto senese nel periodo dell’ultimo
soggiorno romano del Farsetti, ciò sia perchè soltanto
allora questi ebbe la disponibilità di tutte le colonne antiche,
impiegate, così come aveva fatto anche l’Albani, non
tanto (o soltanto) con scopo decorativo, ma bensì come elementi
strutturali, sia perchè esso si avvicina stilisticamente ad
un’altra opera realizzata dal Posi in questo stesso periodo,
la chiesa di S. Caterina da Siena. Nello sviluppare e definire il
progetto è presumibile che il Posi abbia rielaborato e perfezionato
le soluzioni precedenti, aggiungendo in particolare al corpo centrale
a tre piani, due ali più basse a due piani, formate da due
padiglioni terminali e da altrettanti portici e gallerie di collegamento.
Rispetto ai modelli elaborati da Fischer, o da questi derivati (compresi
i due progetti del Posi esaminati sopra), nel palazzo di Sala il Posi
raggiunge abilmente una notevole perfezione formale e compositiva
ponendo la sala ovale esattamente in asse con le due sale laterali,
con i due portici e con i due 'padiglioni' (figg. 8, 9,10,11,12). |
|
|
fig. 12 |
|
<13>
Volendo fare qualche raffronto con villa Albani, sotto il profilo
stilistico e tipologico, a ben guardare, troviamo più diversità
che elementi comuni, a cominciare dal tipo di composizione, quella
seriale del Marchionni e quella gerarchica usata dal Posi. Anche l’obiettivo
di rievocare un antico palazzo romano è stato affrontato dai
due architetti usando due stili completamente diversi; nel palazzo
dell’Albani si può infatti notare un ritorno all’architettura
del Rinascimento, rielaborata secondo i caratteri settecenteschi,
mentre in quello di Sala è invece presente il tentativo, pur
nell’uso di motivi tipici dell’architettura barocca e
del Settecento (linee curve) di dare all’insieme un aspetto
classicheggiante, cercando la purezza e la linearità delle
forme ed escludendo il più possibile gli elementi decorativi
usuali che avrebbero potuto appesantirne il disegno, oltre che essere
del tutto estranei agli edifici dell’antichità. |
|
|
fig. 13 |
|
<14>
Nell’ala di servizio, detta la 'foresteria', rimasta purtroppo
incompiuta per la morte del Farsetti, il Posi ha invece fatto uso
della composizione seriale indifferenziata, il cui modulo compositivo
è formato da un arco con sovrapposta una finestra, delimitati
da pilastri (fig. 13). Tale soluzione era infatti più appropriata,
come sosteneva anche il Milizia, a delimitare un cortile di servizio,
in quanto i portici con archi, pur non possedendo la stessa magnificenza
e bellezza delle colonnate piane, erano tuttavia più solidi
e meno dispendiosi di queste ultime; d’altra parte, nel nostro
caso, le due diverse ed in un certo senso contrapposte soluzioni,
creavano per la varietà un insieme piacevole; nel contempo,
l’applicazione dello stesso ordine architettonico sia nel palazzo
che nella foresteria, determinava una continuità stilistica
tra i due edifici. |
|
|
fig. 14 |
|
<15>
Un altro interessante elemento della villa progettato dal Posi è
il complesso formato dalle cedrare e dalle stufe con i relativi 'attacchi'
(figg. 14,15). L’architetto senese fu chiamato anche a dirigerne
i lavori; la sua presenza a Venezia e a Sala è infatti documentata
almeno in due occasioni: nel gennaio 1755 [7]
e nel marzo 1759. [8]
Nel Veneto le logge di agrumi si diffusero soprattutto nel Settecento,
ma a Roma, dove erano chiamate 'cocchi', erano già presenti
nel secolo precedente. Il Ferrari nella sua nota opera 'Hesperides
sive de Malorum Aureorum Cultura et usu Libri quatuor (Roma 1646)'
descrive una di queste logge, quella del cardinale Pio di Savoia presso
il colosseo, che veniva protetta durante l’inverno da stuoie
sostenute da una struttura mobile in legno, le quali potevano alzarsi
ed abbassarsi a seconda dell’occorrenza; il modello si diffuse
in seguito in molte altre ville romane, come nelle ville Borghese,
Pamphilj e Albani. Le due cedrare di Sala che collegavano con un piacevolissimo
percorso, lungo oltre 200 metri, il palazzo con il settore ovest del
giardino dove erano ubicate in particolare le stufe e lo studio botanico,
erano ammiratissime. "Citreta regifico luxu constructa",
le definiva il Turra [9]
ed il Griselini: "superbe e reali cedraie". [10]
Per conferire a queste logge un aspetto di maggiore eleganza e lusso,
il Farsetti aveva fatto rivestire tutta la struttura in ferro di sostegno
con lamine di oro zecchino, come ci fanno sapere ad esempio i seguenti
versi del Tosi (1760): "Lunga amena ... d’aranci ricoperta
Loggia, / il di cui ramo serpeggiante affrena aurea colonna / cui
s’affida, e appoggia arco superbo d’or" [11]
ed il Roberti, in una lettera (s.d.) diretta a T.G. Farsetti: "I
cedri appoggiano i rami sopra tali spranghe di ferro che colla viva
doratura emulano la giallezza delle lor frutta allorchè sono
mature". [12]
Durante i mesi freddi le cedrare venivano riparate con una struttura
in legno, addossata ad un muro lungo i lati nord ed est da cui spirano
i venti freddi, la quale, pur nella sua semplicità e ripetitività,
costituiva tuttavia un interessante elemento architettonico nell’ambito
del giardino. |
|
|
fig. 15 |
|
<16>
Anche il disegno delle 'stufe' progettate dal Posi presentava un modulo
semplice e ripetitivo derivato da esigenze funzionali ma che dava
all’insieme un aspetto veramente maestoso, come ci confermano
ad esempio l’Arduino (1759) che parla di "grandi e splendidi
calidari, tepidari e frigidari" o il Patarol (1759) che le descrive
come "bellissime stuffe ad uso d’Inghilterra e di Vienna".
Gli 'attacchi', due graziosi padiglioni che compositivamente servivano
il 'primo' a collegare le stufe con 'la prima cedrara' ed il 'secondo'
a collegare quest’ultima con 'la seconda cedrara', situata all’incirca
perpendicolarmente ed a un livello inferiore rispetto alla precedente,
mentre funzionalmente costituivano dei luoghi di sosta e soggiorno
all’interno del giardino, richiamano alla mente, con tutti i
loro elementi ornamentali (vasi, guglie, statue) le fantasiose macchine
pirotecniche che per molti anni il Posi ha progettato in occasione
della festa della Chinea che si svolgeva a Roma, per lo più
in piazza SS. Apostoli, durante la festività dei SS. Pietro
e Paolo. Tra questi elementi il Posi ha inserito il 'casino per lo
studio della bottanica', chiamato in seguito più semplicemente
la 'bottanica', inizialmente non previsto, ma anche compositivamente
necessario in quanto con la sua verticalità creava, assieme
alla preesistente colombara, un elemento di contrasto nell’uniformità
in altezza della costruzione che si estendeva per ben 330 metri. Di
tutto questo complesso è purtroppo rimasto ben poco: la 'bottanica'
ed il muro della 'prima cedrara' (fig. 16). |
|
|
fig. 16 |
|
<17>
Molto ben riuscito è anche un altro elemento della villa progettato
dal Posi, che faceva parte della scenografica sistemazione dell’ampia
area situata a sud della strada Cavin di Sala, il cosiddetto 'Campidoglio',
che doveva rappresentare quello romano; esso è andato completamente
distrutto, ma possiamo conoscerlo abbastanza nei dettagli attraverso
alcuni disegni e vedute che ci sono pervenute. Era formato da una
'montagnola' con un edificio dalle sembianze di un 'antico tempio'
riutilizzato sulla sommità e da due colonne con architrave
sulle pendici, raffiguranti i resti del 'tempio di Giove Tonante',
e ai suoi piedi un piccolo lago di forma ovale che doveva rappresentare
una 'naumachia' (fig. 17). Per la progettazione del tempio antico
il Posi sembra aver preso ispirazione dai resti all’epoca ancora
semisepolti di antichi edifici presenti nel Foro romano, come il tempio
di Saturno (allora detto della Concordia) che sorge proprio nelle
vicinanze del Campidoglio; del tempio di Vespasiano (allora creduto
di Giove Tonante) ed il tempio di Antonino e Faustina, trasformato
nella chiesa di S. Lorenzo in Miranda (fig. 18); come pure al Pantheon
per i due campaniletti berniniani esistenti all’epoca. Le proporzioni
perfette, basate sulla canna architettonica (10 palmi romani) e l’aspetto
molto armonioso dovevano conferirgli anche un significato ben preciso,
quello cioè della perfezione dell’architettura classica,
presa come un modello da imitare. [13]
All’edificio era possibile pervenire sia percorrendo un sentiero
sulla collinetta, sia attraversando il laghetto con una piccola imbarcazione,
dopo essere entrati in una specie di grotta e saliti per una scala
a chiocciola. Si può avanzare l’ipotesi che la costruzione
avesse anche un significato simbolico, legato alla massoneria a cui
il Farsetti era affiliato, la rappresentazione cioè dei tre
mondi, quello 'oscuro' (la grotta), quello 'semplice' dell’uomo
naturale (il pianterreno del tempio), quello 'della saggezza' (la
terrazza del tempio, che amplia l’orizzonte dell’esperienza),
che bisognava attraversare per esservi ammesso. |
|
|
fig. 17 |
|
<18>
Prima di terminare non possiamo non soffermarci sul grandioso progetto
affidato a Clérisseau, il quale, se realizzato, come ardentemente
desiderava il Farsetti, avrebbe senza dubbio costituito, per l’originalità
e la spettacolarità dell’intervento, l’attrattiva
più interessante di tutta la villa. Il primo elemento del progetto
riguarda i resti di un circo romano (la 'spina antica'); che avrebbe
dovuto sorgere oltre l’anfiteatro, a chiusura della lunga prospettiva
che iniziava dal centro del palazzo. La rovina aveva dimensioni notevoli:
circa 273 metri di lunghezza, 78 di larghezza e 32,5 di altezza; la
spina doveva essere ornata con una fontana al centro e due obelischi
alle estremità ed il resto con vari frammenti antichi, come
statue, vasi, tripodi, altari, bassorilievi. [14]
Winckelmann che aveva avuto modo di vedere il modello in sughero,
considerava il progetto veramente superbo, e così abilmente
progettato da sembrare più il rilievo di un monumento antico
realmente esistito che una composizione sullo stesso genere. Il noto
collezionista francese Mariette, al quale Clérisseau aveva
mostrato alcuni disegni del progetto, sosteneva che la sua esecuzione
era ben al di sopra delle possibilità economiche di un privato.
[15] |
|
|
fig. 18 |
|
<19>
Il secondo elemento è rappresentato da un’antica 'strada
consolare' in rovina, che doveva essere realizzata lungo il tratto
della strada pubblica detta il Cavin di Sala, che attraversava la
villa, per una lunghezza di circa 480 metri. La strada avrebbe dovuto
essere ornata dai resti di manufatti e monumenti solitamente presenti,
come fontane, statue, iscrizioni ed un gran numero di sepolcri e sarcofagi.
Sembra che proprio nella prospettiva di realizzare questo progetto,
il Farsetti avesse già avviato, verso il 1762, i lavori di
allargamento della strada Cavin di Sala, portandola mediamente da
sei a dodici metri di larghezza. Il terzo elemento, infine, è
costituito da un 'ponte trionfale', da realizzare sulla peschiera
esistente lungo il lato nord del Cavin di Sala, per l’accesso
al palazzo dalla strada consolare, attraverso il lungo viale centrale
del giardino. I motivi per cui questi progetti non vennero realizzati
sono principalmente tre: anzitutto la morte del Farsetti, avvenuta
nel 1774, due anni dopo l’ultimazione del palazzo e mentre era
ancora in costruzione la foresteria; in secondo luogo il ritorno di
Clérisseau in Francia, senza avere completato l’intero
progetto; infine le difficoltà sorte per ottenere lo svincolo
dei rimanenti beni della secondogenitura, situati in particolar modo
negli stati di Massa e Carrara, il cui valore ascendeva, come abbiamo
detto, a circa 144.000 scudi. Alla sua realizzazione il Farsetti teneva
moltissimo; ne è una prova quanto Winckelmann, riferendosi
all’abate veneziano, scriveva nel 1767 a Clérisseau ("Il
brûle de mettre le tout à exécution") e possiamo
credere che egli ne parlasse ancora con entusiasmo all’amico
Tommaso Temanza quando questi nell’autunno del 1771, mentre
era in costruzione il palazzo, si recò a fargli visita. L’architetto
veneziano, in una lettera al Milizia, parlando della villa di Sala
e del Farsetti, diceva infatti: "Essa villa è sorprendentemente
bella ... Egli spende senza misura, ed il suo bel Genio gli fa fare
dei voli sopra le nubi". [16]
Alcuni disegni di Clérisseau conservati all’Ermitage,
probabilmente pur non riferendosi in modo diretto al progetto commissionatogli
dal Farsetti, possono tuttavia dare l’idea dello scenario che,
una volta realizzato il progetto in questione, avrebbe potuto incontrare
il viaggiatore attraversando la villa di S. Maria di Sala (figg. 19-20) |
|
|
fig. 19 ![](http://www.zeitenblicke.historicum.net/images/space.gif) fig.
20 |
|
Note: |
[1]
|
Le notizie ed i concetti sopra esposti
sono ampiamente trattati in: Loris Vedovato: Villa Farsetti
nella storia, Parte I, Venezia (Biblioteca comunale di Santa
Maria di Sala) 1994. E’ attualmente in fase di preparazione
la seconda parte. |
|
Johann Joachim Winckelmann: Lettres familières
de M. Winckelmann. Avec les ouvres de M. le Chevalier Mengs,
II, Yverdon 1784, 223. |
[3] |
Giovanni Marsili: Dei Patrizii Veneti dotti
nella cognizione delle piante e dei loro orti botanici più
rinomati (1771), Padova 1840, 21-22. |
[4]
|
Pier-Alessandro Paravia: Delle lodi dell’ab.
Filippo Farsetti, Venezia 1829, 36 (n. 33). |
[5]
|
Hans Sedlmayr: Johann Bernhard Fischer von Erlach
architetto, Milano 1996, 106 e ss. |
[6]
|
Winckelmann: Lettres, 224. |
[7]
|
John Kenworthy-Browne: Matthew Brettingham’s
Rome Account Book (1747-1754), in: The Walpole Society (1983),
100. |
[8]
|
Lina Livan: Notizie d’arte tartte dai
Notatori e dagli Annali del N.H. Pietro Gradenigo, in: Miscellanea
di Studi e Memorie della Deputazione di Storia patria per le
Venezie, V, Venezia 1942, 39. |
[9]
|
Antonio Turra: Farsetia novum genus, Venetiis
1765, 4. |
[10]
|
Giornale d’Italia, II, Venezia 1766, 69-70. |
[11]
|
Giambattista Vinco Da Sesso: Bartolomeo Ferracina
tra uomini e cose del ‘700 veneto, in: Bartolomeo Ferracina
(1692-1777), Solagna 1978, 161. |
[12]
|
Giambatista Roberti: Opere, XVII, Venezia 1831,
50. |
[13] |
Emilio De Tipaldo: Descrizione della deliziosa
Villa di Sala, Venezia 1833, 22. |
[14] |
Winckelmann: Lettres, 223-224 (n. 1). |
[15] |
Pierre Jean Mariette: Abecedario, I, Paris 1851-1853,
379. |
[16] |
Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale,
b. 318-7. |
|
|
Autore |
Ing. Loris Vedovato
Via Noalese, 108
30036 Santa Maria di Sala/ Venezia
studio.vedovato@tiscalinet.it
|
|
Empfohlene
Zitierweise:
Loris Vedovato: La Villa Farsetti a Santa Maria di Sala presso Padova.
Influenze romane nell'ambito veneto, in: zeitenblicke 2 (2003),
Nr. 3 [10.12.2003], URL: <http://www.zeitenblicke.historicum.net/2003/03/vedovato.html>
Bitte setzen Sie beim Zitieren dieses Beitrags hinter der URL-Angabe
in runden Klammern das Datum Ihres letzten Besuchs dieser Online-Adresse.
Zum Zitieren einzelner Passagen nutzen Sie bitte die angegebene
Absatznummerierung. |
|
![](http://www.zeitenblicke.historicum.net/images/space.gif) |